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Io e il ferro.

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Io il ferro l’ho incontrato da ragazzo.

Sono nato e cresciuto ad Arborea, in Sardegna, Provincia di Oristano, centro urbano delle bonifiche durante il ventennio fascista.
Avevo 17 anni quando... + cominciai a lavorare nell’azienda zootecnica che produceva strutture per capannoni industriali e attrezzi per macchine agricole. Ero curioso, instancabile. Il ferro, prima ancora che il lavoro, occupava la mia vita e la mia mente.
Negli anni ’80, il settore dell’allevamento bovino e della produzione del latte era in piena espansione. I Veneti e gli Emiliani arrivati con le bonifiche si erano uniti nella cooperativa 3A Latte Arborea, azienda modello tutt’ora leader nel settore. La Società Bonifiche Sarde aveva investito nella zootecnia e tutto questo indotto mirava a divenire leader nella produzione di latte fresco di qualità e derivati. Servivano capriate, pilastri, tettoie, strutture per stalle e sale mungitrici, aratri, frangizolle, spesso da adattare a motrici superate o viceversa troppo moderne. In questo clima di fervore, lavoro intenso, sviluppo non c’era una rigida divisione dei ruoli. Si lavorava tanto e con entusiasmo. Così ho conosciuto il ferro.
Ho imparato da attento autodidatta a conoscerne le proprietà, i limiti, le resistenze. Vedevo nella mia testa le strutture già montate, i problemi prima che si presentassero. Mi guidavano l’attenzione, l’intuito, l’osservazione.
Dopo diciannove anni di “ferro industriale” arrivò il capolinea. Il ferro, almeno quel ferro, non mi parlava più, non mi interessava più. Stava diventando ripetitivo, routine. Mi stavo spegnendo. Mi licenziai, pur con la preoccupazione di trovare un altro lavoro che nemmeno riuscivo a capire quale fosse. Mi continuavano a cercare per riparare motociclette, l’altra passione della mia vita e per riparare attrezzi agricoli. Ma brancolavo nel buio, non avevo più una direzione.

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Artigiano del ferro.

Un giorno arrivò una Signora di Terralba, un paese vicino, col disegno di una scala fatto da un pittore. Nessun fabbro voleva realizzare quella scala. Non sapevo minimamente da dove iniziare, e non avevo nemmeno le attrezzature adatte. O meglio: non avevo un’officina... +
Aveva visto le inferriate delle finestre del bar di Carlo, un caro amico per cui le avevo realizzate e sosteneva che io fossi in grado di realizzare la sua scala. In realtà le inferriate di Carlo le avevo fatte in amicizia e a tempo perso, assemblando un mucchio di ferri prestampati con una piccola saldatrice in un garage.
Il disegno del pittore, originario di Arborea, che in quegli anni aveva contatti con gli architetti della Costa Smeralda, rappresentava una scala tutta legata, leggera e sicuramente mai realizzata prima in questa zona. La Signora mi motivò al punto che il ferro si riappropriò della mia vita. In pochi giorni gettai una platea, dei pilastri, realizzai un tetto per la mia officina come tante volte avevo fatto per i capannoni della zootecnica. Collezionai denunce per abusi edilizi che mi costarono in seguito multe salate. Fu il prezzo di aver ritrovato la strada....del ferro.
La scala piacque. Me ne chiesero altre. Ricominciai da autodidatta ad osservare, provare, battere legare. Forgiavo, battevo sino allo stremo fermandomi solo quando si ribellava, si spezzava. Capivo, ricominciavo, imparavo a lasciarmi convincere… dal ferro, di quale fosse la forma giusta. Dopo poco mi resi conto io stesso che nessuna delle mie opere era perfettamente ripetibile. Il ferro mi stava portando a creare unicità.

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Come nascono le mie opere.

Questa è diventata la costante di tutti miei lavori che nascono da un rapporto intenso con questo materiale, dalle mie mani e non... + dalle macchine. Per me è importante non ripetermi e d'altronde sarebbe impossibile perché lavoro su disegni fatti ad hoc che nascono dall’ispirazione del momento.
Ho bisogno di creare una grande sinergia col cliente. Devo capire che mi hanno cercato per qualcosa “fuori dai prestampati industriali in ferro”, sentire che vogliono da me qualcosa che li rappresenti e valorizzi gli ambienti per i quali hanno scelto l’opera in ferro. Il mio cliente ideale è quello che si vuole distinguere. Se colgo questo è sicurò che gli darò grande soddisfazione.
Questa è la scintilla che fa partire la mia inventiva, che guida pieghe, ribattiture, legature del ferro e la sua forgiatura.
Il ferro è duro? No, non lo è affatto. Mi guardo intorno e sempre nella mia vita ho visto il vento piegare i lunghi fili d’erba lungo i canali e i cannetti. Ho visto tralci di viti annodarsi a vecchie inferriate e legni abbandonati. Nascono così in accordo con i clienti cancelli di steli d’erba ritorti, volute di ferro che si aprono in fiori di calle, tralci, viluppi o semplicemente volute che si intrecciano e legano tra loro mantenendo la loro leggerezza strutturale per l’assenza di saldature. Per me scale, inferriate, pergole, gazebi, anche solo maniglie o piccoli accessori sono tutte opere interessanti. La mia soddisfazione è quella del cliente. La mia gioia è finirli per ricominciarne un altro diverso.
Il lavoro finisce col montaggio. Preferisco montare io le mie opere per essere sicuro che avranno l’inclinazione, la foggia, l’aspetto e la solidità che ho immaginato per loro. Forgio e produco anche i tasselli perché anche il montaggio sia un tutt’uno con l’opera, la rifinisca definitivamente e senza apparire.

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Loc. Centro II Sassu, 1

Arborea (OR)

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